Vade retro, Sabba!
Il ’68 dei Black Sabbath dura da cinquant’anni
Intervista a Eduardo Vitolo
La musica e il maligno, spesso, rientrano soltanto nell’immaginario collettivo, spinto da una naturale reazione di repulsione nei confronti di un’entità sovrannaturale, che magari può balzarci addosso con un effetto sonoro inquietante, quasi come se fossimo al cinema, almeno si spera.
Eppure, fantasie a parte, esistono combinazioni che rischierebbero di apparire meno banali del solito, dove non solo ci si dovrebbe ritenere offuscati dagli eventi inquietanti, ma dove, in questi ultimi, i protagonisti di ultraterreno avrebbero poco o nulla, anzi, sarebbero ben incollati alla vita terrena, pur ammesso che poi tale nomea se la portino addosso per il resto della loro cupa esistenza, divenendo manifesto di oscure leggende.
Vengono in mente il Doctor Faustus di Thomas Mann, o Mefistofele nel Faust di Goethe tanto per iniziare con opere di fantasia; oppure, restando nel tema classico ma più realistico, il violinista Niccolò Paganini, che tutti pensavano fosse posseduto dal diavolo, solo perché gli assoli sul suo violino mandavano il pubblico in estasi.
Di Robert Johnson, in assoluto il primo chitarrista del Delta del Mississippi che rivoluzionò il blues, si diceva ringraziasse Satana nelle sue canzoni perché sarebbe stato quest’ultimo ad insegnargli tutti i segreti dello strumento; molti anni dopo le stesse voci circolarono riguardo gli strani atteggiamenti di Jimmy Page, chitarrista dei Led Zeppelin, che, a quanto pare, aveva una particolare attenzione nei confronti di materie occulte e fosse un appassionato di Aleister Crowley.
Nel 1968 l’eccellente musicista Brian Jones, già durante le registrazioni di Sympathy for the Devil dei suoi Rolling Stones, accusò i primi avvisi di uno stress acutizzato dai continui spostamenti della band, fino alla sua morte prematura, avvenuta nell’agosto dell’anno successivo, il cui episodio fece sorgere l’assurda ipotesi che gli altri della band avessero firmato un patto col diavolo affinché donasse loro un successo duraturo, in cambio della dipartita dell’amico.
A oggi gli Stones restano la band più duratura di tutti i tempi, mentre il resto sono dicerie, e basta.
Figuriamoci.
Sempre in Gran Bretagna, ad Aston, periferia fumosa di Birmingham, sempre nel ’68, ha inizio un’ avventura tutta nuova che ha per protagonisti quattro ragazzi, figli della working class inglese, che trovano nelle canzoni di loro creazione il fortunato anello di congiunzione delle loro vite, la cui musica però, proprio a iniziare da quell’anno e, in particolare, dal 1970, quando uscì il loro primo disco, fu additata come una chiarissima espressione di occultismo e satanismo, e sulla cui reputazione la band, negli anni a venire, ne trasse laute ricompense, oltre che originalità.
I Black Sabbath, nel 1968, nacquero molto probabilmente grazie all’avviso affisso di fronte un negozio di musica da parte di John Michael Osbourne, un giovane scavezzacollo già ex galeotto con la passione sfrenata per il canto, e per i Beatles.
Ozzy, come veniva chiamato John a causa della sua balbuzie, in quell’avviso, cercava una band da mettere su, e proprio quando iniziò a credere che mai nessuno si sarebbe fatto vivo, alla porta della sua casa in Lodge Street bussò un ex compagno di scuola, tale Tony Iommi, metalmeccanico, di origini italiane, che suonava la chitarra come un dio, accompagnato dall’amico Bill Ward, un simpatico ragazzo, oltre che un eccellente batterista.
Ozzy introdusse agli altri due il suo amico Geezer Butler, professione contabile, particolarmente erudito, lettore infaticabile, appassionato di occultismo, vegetariano convinto, che avrebbe svolto il ruolo di bassista.
I quattro di Aston iniziarono a proporsi come una blues band a tutti gli effetti, suonando un po’ ovunque, giungendo perfino al mitico Star Club di Amburgo, dove i Beatles avevano costruito la loro carriera.
Tuttavia la loro musica, grazie ai riff abbastanza inquietanti che nascevano dalla genialità di Tony, divenne sempre più oscura, a tratti terrificante, tanto è vero che il nome Black Sabbath fu preso dal titolo di un film horror di Mario Bava, con Boris Karloff come protagonista.
Tutto questo svolse un ruolo importante per la riuscita della loro carriera, già quando la Vertigo, l’etichetta che li mise sotto contratto per il primo disco, cucì loro addosso il marchio di divulgatori del male, realizzando una copertina orrorifica, seppur stupenda, e addirittura inserendo una croce al contrario all’interno di essa.
I Sabbath, che ebbero l’ intuizione di giustificare le paure terrene di una guerra nucleare attraverso un immaginario di terrore, morte e distruzione, realizzarono dei dischi superbi, a dir poco geniali, con suoni massicci come pietre, con la voce di Ozzy che urlava la disperazione di una società in crisi in seguito a conflitti ingiusti; da bravi cristiani tutto questo male lo scacciavano indossando delle croci, che però agli occhi dei curiosi apparivano più come simbolo di sventura, che di fede.
Nel 1998, in seguito alla storica reunion, a trent’anni dalla nascita dei Black Sabbath, in me avvenne un cambiamento a dir poco inusuale: seppur magrissimo vestivo completamente di nero, e ciò dava alla mia immagine un’idea di un tipo che davvero stava poco bene, considerando che avevo lasciato crescere i capelli in maniera abbastanza incolta, che senza cura mi oscuravano l’espressione.
Da fan esagerato, arrivai perfino ad indossare una croce, come i miei idoli, il che fece sorgere una seria preoccupazione da parte dei miei genitori, ma non certo di una biondina davvero niente male, che chissà perché, espresse un’autentica simpatia nei miei riguardi, grazie a cui potei permettermi addirittura una relazione extrasentimentale.
Ma l’avventura durò poco, perché appena mise piede nella mia stanza, notò con sgomento l’enorme croce nera che avevo dipinto sulla testiera del letto, perciò scappò via, dandomi del satanista, minacciandomi di denunciarmi alle autorità. Fu così che ritornai dalla mia fidanzata.
Nel 2011, già grandicello, stavo promuovendo il primo disco dei miei Ordita Trama, e in radio conobbi Eduardo Vitolo, speaker di un programma che prediligeva tutta la musica metal più inquietante. Scoprimmo di avere in comune la passione per i Black Sabbath e, terminata la puntata, restammo a parlare per tanto tempo.
Eduardo è anche scrittore e saggista musicale e oggi, in occasione dell’uscita del suo nuovo libro, Children of Doom (Tsunami Edizioni), è ritornato per raccontarmi, attraverso una mia intervista, tanti altri segreti che riguardano una delle nostre più longeve passioni.
Eduardo, affrontando le tematiche del Sessantotto, anno cruciale di insurrezioni del proletariato nei confronti delle classi dirigenti associate alle manifestazioni contro la guerra in Vietnam, quali analogie riusciresti a intravedere, proprio in quell’anno, tra la nascita dei Black Sabbath e la loro appartenenza alla working class inglese? Potrebbe essere possibile che la band, cinquant’anni fa, sia nata anche dai fumi di quelle rivoluzioni socialiste?
“I Black Sabbath si formano in un periodo storico ricco di cambiamenti sia positivi che negativi e in qualche modo i vari eventi che tu citi sono confluiti nei loro brani e soprattutto nei testi di Geezer Butler. La Guerra nel Vietnam ha scosso le coscienze di tutti, musicisti e persone comuni, e anche i Sabbath hanno avvertito l’urgenza di parlarne in diversi brani tra cui la celebre “War Pigs”, non limitandosi alla semplice narrazione ma anche paventando guerre future ancora più apocalittiche (vedi la leggendaria “Iron Man”). Per quanto riguarda il discorso politico/sociale, di sicuro tutti i membri del gruppo provenivano dalla classe operaia inglese e lo stesso Iommi si era procurato il suo “famoso” infortunio lavorando in fabbrica come saldatore. Qualcosa dello spirito della “Working Class” è sicuramente presente nel loro modo di affrontare il mestiere di musicista (non a caso sono tra le band più longeve in assoluto e hanno superato molte crisi con la perseveranza e il lavoro duro) ma se dobbiamo parlare di rivoluzione sociale (più che socialista) allora credo che i Sabbath abbiano rotto sicuramente molti schemi, affrontando diversi argomenti controversi nelle loro musiche (droga, fede, nichilismo, esoterismo etc.). Un messaggio politico netto, a mio avviso, è stato sempre ai margini della loro proposta artistica anche se è desumibile in vari testi”.
Secondo le tue ricerche, quali furono le cause che portarono alla nascita di un definitivo stile musicale che, addentrandosi tra il blues ed il rock, ne usciva con un’impronta alquanto terrificante? E quali sono le prove per cui tale compito spettasse proprio ai quattro ragazzi di Aston?
“Nel mio ultimo libro “Children Of Doom. Viaggio nelle sonorità dell’apocalisse da prima dei Black Sabbath ai giorni nostri” (Tsunami Edizioni, 2018) ipotizzo che certi umori oscuri e Proto-Doom esistessero musicalmente già dal Blues maledetto del Mississippi, passando per il Rock acido e pesante degli anni ’60 con i Blue Cheercome punta dell’iceberg (ma sotto c’era un calderone di band, ai più sconosciute, che facevano sul serio), fino ad arrivare al primo album dei Black Sabbath e soprattutto al brano omonimo che, a differenza di altri pionieri, aveva il dono di segnare finalmente la strada maestra per tutto il Doom (e anche il Metal orrorifico e non solo) di lì a venire. Tony Iommi sapeva costruire dei riff memorabili, abissali, moderni, pieni di riverberi paurosi ed emozionanti insieme e ancora oggi legioni di musicisti in tutto il mondo lo osannano e venderebbero l’anima al diavolo per essere come lui. Robert Johnson che la vendette davvero l’anima al diavolo (o almeno la leggenda così dice…) morì povero e tormentato in una bettola di Greenwood. Tony Iommi, con una croce indosso e un look abbastanza lugubre è vissuto per anni raggiungendo il meritato successo che gli spetta di diritto. Forse le regole del Male non sono così prevedibili come nei film horror e i Sabbath hanno beneficiato di un percorso artistico che in realtà esisteva già da tempo, sotto varie forme”.
Il blues, si sa, oltre ad essere il genere che per eccellenza ha sottolineato la sofferenza degli schiavi neri nei campi, viene volgarmente riconosciuto, tramite leggende che gli appartengono, anche come la musica del diavolo. E’ possibile che Ozzy e soci, più degli Stones, siano stati i divulgatori più esatti di un’evoluzione di quella fattispecie?
“Se parliamo di Rock “diabolico” con radici Blues i veri iniziatori penso siano stati i Coven della bellissima Jinx Dawson (e coincidenza oltremodo inquietante il bassista fondatore del gruppo si chiamava Oz Osborne) con un album, “WitchcraftDestroysMinds&ReapsSouls”, che pubblicato nel 1969 (quindi in contemporanea con Black Sabbath) presentava un’autentica Messa Nera alla fine del disco e un rosario di brani che sembravano davvero celebrare l’Anticristo. Ma al contrario dei brani di Iommi & soci mancavano di pesantezza, del tocco ”Ossianico” che solo i gruppi Inglesi sanno creare e anche di un po’ di fortuna e alla fine sono stati i Sabbath i veri iniziatori di quel Blues misto al Rock orrorifico che secondo i benpensanti era imparentato col Male, quello vero, anche se poi come tutti i fan della band sanno, la verità era ben diversa…”.
Dopo l’incisione del primo disco, i Black Sabbath assistettero alla creazione di una copertina dell’album alquanto inaspettata, a tal punto da restarne terrificati, oltre che affascinati: una strega che spunta da un paesaggio rurale e spettrale. Nella grafica interna compare addirittura una croce capovolta. Per caso anche noi, insieme a loro, siamo stati vittime di un progetto sordido inscenato dalla Vertigo?
“Sulla copertina dei primo album dei Black Sabbath ho scritto un lungo excursus sul mio nuovo saggio “Children Of Doom” quindi non anticipo nulla per non rovinare la sorpresa ai futuri lettori. Dico solo che dietro la creazione di quella splendida foto ci sono dei fatti singolari e un mistero ancora irrisolto dopo anni. Di sicuro posso affermare che la brughiera inglese, spettrale e spaventosa, è un buon punto di partenza per capire cosa i Sabbath siano stati capaci di creare e soprattutto in che modo hanno saputo catturare l’immaginario di tanti appassionati di musica Rock. La croce capovolta all’interno del vinile fu un espediente della Vertigo per attirare attenzione e ci riuscirono in pieno. Ci riuscirono così bene che per evitare loschi coinvolgimenti con “strani” personaggi, la band iniziò ad indossare delle croci, stavolta nel verso giusto”.
La spaccatura all’interno della band, le cui prime avvisaglie si accusarono già durante le riprese di Sabbath Bloody Sabbath, potrebbe essere stata causata da una visuale di potere amplificato dal massiccio uso di droghe e alcol o piuttosto da un’evidente differenza culturale che differenziava Geezer Butler e Tony Iommi rispetto a Ozzy Osbourne e Bill Ward?
“Se hai letto la bio di Tony Iommi “Iron Man” (Arcana Edizioni, 2011) puoi già comprendere che tutto ruotava attorno agli umori (e anche le disavventure personali) del principale compositore della band. Tutta l’organizzazione della band era sotto il suo timone, con gli altri impegnati più che altro a vivere la loro vita di musicisti fuori dalle regole (Ozzy in primis). Butler era invece quello che più di tutti aveva letto e assimilato idee e temi che poi sarebbero finiti nei testi dei Black Sabbath e si deve sicuramente a lui la creazione dell’immaginario “narrativo” delle canzoni. Diciamo che il destino ha messo insieme personalità diverse e caratteri antitetici e ne è venuto fuori qualcosa di esplosivo a livello musicale ma anche incandescente a livello di rapporti umani, e i segni si possono notare ancora oggi.”
Il doom e lo stoner sarebbero soltanto due degli innumerevoli generi musicali ramificatisi dal ceppo dei Black Sabbath. Come spieghi questa stupefacente influenza che ha condizionato le generazioni di musicisti dalle volute fattezze demoniache degli anni successivi?
“Il Doom come genere in qualche modo riconoscibile è venuto fuori negli anni ’80 con alcuni pionieri solitari e isolati (Saint Vitus, Candlemass, Witchfinder General, Pentagram etc.) che partendo dagli amatissimi Black Sabbath hanno creato un loro stile personale e tuttora riconoscibile. Il vero boom c’è stato solo negli anni ’90 quando band come Cathedral, Sleep, Trouble, SolitudeAeturnus, Confessor e una legione enorme di band underground hanno iniziato a pubblicare album, anche estremi, citando a più non posso Tony Iommi &soci come influenza principale. E se contiamo che anche il Grunge nasceva dalla fascinazione dei Sabbath (vedi Melvins, Soundgarden, Alice In Chains e molti altri) possiamo affermare che è stato un processo graduale e che non si è mai arrestato visto che al giorno d’oggi il Doom è un genere ancora ricchissimo di band e di uscite e gode di una esposizione mediatica che i pionieri del genere all’epoca se la potevano solo sognare. Inoltre si è ramificato in così tanti sottogeneri che per parlarne approfonditamente ci vorrebbe uno studio a parte e lo Stoner è uno di questi”.
Nel 2012 hai scritto un libro sulla band di Aston, Black Sabbath – Neon Knights – Testi commentati (Arcana Edizioni, Mondadori Edicola), che ha ampliato le tue ricerche nel campo della musica più orrorifica incentrata sull’heavy metal. Quando nasce questa tua passione?
“Da ragazzino ero un grandissimo appassionato dello “Zio Tibia Picture Show” e di “Notte Horror” su Italia1 (ma non disdegnavo anche horror di serie Z che spesso acchiappavo sui canali privati). L’horror cinematografico mi ha cambiato la vita in tutti i sensi. Infatti tramite alcuni film quali Morte a 33 giri, Demoni, Sotto Shock, Nightmare, Maximum Overdrive e molti altri ho scoperto che esisteva una scena musicale allora per me completamente sconosciuta e assolutamente eccitante: quella del Rock “duro” e del Metal. Era come se avessi scoperto un nuovo mondo, per me totalmente inesplorato. Tutto combaciava a pennello: la musica citava l’immaginario horror e i film (spesso) avevano colonne sonore (o semplici partiture che consistevano in un riff di chitarra o in uno spezzone tratto da un brano e scattava subito la ricerca, a volte vana, perché non c’era ancora internet e You Tube) invischiate col Rock. Credo di non essermi mai divertito così tanto a scoprire cose nuove! Da allora sono diventato un appassionato di Metal e delle sue tante derivazioni e se sono orrorifiche, ancora meglio!”.
Quest’anno hai pubblicato il saggio Children of Doom – Viaggio nelle sonorità dell’Apocalisse, da prima dei Black Sabbath ai giorni nostri (Tsunami Edizioni), in cui ancor meglio si denota la tua accurata ricerca dell’archetipo musicale che rimarca un’inspiegabile attrazione verso la morte e il suo ignoto, partendo addirittura dal Medioevo, fino ai giorni nostri. Quanto tempo hai impiegato per affrontare questo temibile percorso formativo? Quali responsi si aspettano da un lavoro tanto sacrificato?
“Ho lavorato alla preparazione del libro per oltre due anni. L’idea di scrivere un libro sul Doom ce l’avevo in testa da almeno un decennio ma il tutto si è concretizzato solo nel 2015 grazie alla sempre attenta Tsunami Edizioni. Sono un fan sfegatato del Doom da inizio anni ’90 e col passare del tempo sono diventato anche un attento osservatore degli sviluppi culturali e musicali del genere e con “Children Of Doom” ho tentato di far combaciare le due cose attraverso un’impronta tutta personale. Ho cercato di studiare a fondo i temi del genere, gli archetipi, i fatti storici, i rimandi culturali e filosofici e più andavo avanti e più rimanevo interdetto di come tutto combaciasse a pennello. Il Doom è il risultato finale di un processo esistenziale e spirituale molto più lungo che ha coinvolto gli uomini dal almeno un millennio e molti musicisti, critici, filosofi, scrittori e addetti ai lavori me lo hanno confermato. Direi che oltre ad essere un viaggio è una vera e propria indagine che cerca di raccontare un concetto antico, quello della Morte e della “Fine dei Giorni”, che attanaglia il destino degli uomini da secoli e che è finito per diventare anche un genere musicale che appassiona e conquista legioni di ascoltatori in tutto il mondo. E spero che proprio questi appassionati possano apprezzare il mio tentativo, al di fuori degli standard ordinari della critica musicale, di raccontare un genere così longevo e affascinante”.
Sei giornalista freelance, saggista musicale, blogger, autore e speaker radiofonico. Saresti capace, per favore, di elencare un’adeguata lista di passioni e hobby culturali, oltre che musicali, che potrebbero in qualche modo migliorare le aspettative di una società spocchiosa che getta sempre più le basi nelle nefandezze formative più infide?
“Mi vuoi dare un compito davvero arduo e non penso di essere la persona adatta. Io sono semplicemente un appassionato, un curioso e un amante di esperienze nuove. Ai miei amici dico sempre che ho tre ossessioni che iniziano con la lettera M: Metal, Medioevo e Montagna. Sono le tre cose che amo di più e che non smettono mai di interessarmi. Non credo che queste mie passioni possano in qualche modo migliorare la società che ho intorno anche se da quanto faccio Trekking ho notato che sempre più persone sembrano ottenere benefici da questo tipo di esperienza e hanno cambiato anche la loro visione della vita e della società. Ecco, la Montagna potrebbe essere un buon punto di partenza per capire chi siamo e soprattutto di quanto siamo piccoli e insignificanti di fronte alla grandezza della natura. La Montagna mi ha cambiato molto e non escludo che possa cambiare persone che siano disponibili a mettersi in discussione sia filosoficamente che fisicamente”.
Concludendo: è stato più finto il satanismo heavy metal dei Black Sabbath oppure la voce corretta con l’autotune di un qualsiasi sedicente cantante pop moderno?
“C’è un videoclip bellissimo di Alice Cooper per il brano “Gimme” (tratto dall’album Brutal Planet del 2000) che mostra un gruppo di ragazzi, vestiti da metallari, che decidono di incontrare il diavolo (interpretato dallo stesso Alice) per vendere la loro anima in cambio del successo. Firmano il contratto e invece di formare una band Hard Rock per poi sfondare si trasformano in una Boy Band piena di soldi e di donne. Ecco, lo Zio Alice ha raccontato a dovere una convinzione che in tanti hanno, me compreso: il Pop e tutti gli eccessi e le superficiali esagerazioni che si porta dietro ha più a che fare col diavolo di quanto Black Sabbath, Marylin Manson, Iron Maiden, Death SS, Ghost e tonnellate di altri gruppi ne abbiano mai avuto. Lo abbiamo detto a inizio intervista e lo dico ancora adesso: il Male, quello vero, si nasconde in posti imprevedibili e di sicuro non in un disco di un gruppo rock che ha abbondantemente dimostrato (vedi After Forever) di non essere per niente interessato ad andare all’inferno”.
Articolo e intervista a cura di Carmine Maffei
Musica, intervista
2018