“Invano”, nell’ironia di Ceccarelli la storia politica italiana.
C’è l’immensa Balena Bianca che ha dominato l’Italia per quasi mezzo secolo col marchio originale (Dc), praticamente fino ai nostri giorni per comportamento e stile politico; e ci sono i suoi cavalli di razza, non solo Moro e Fanfani (copyright Donat Cattin) ma un po’ tutti che, non dovendo assolutamente manifestare la sfrenata bramosia di guidare un Governo e anzi fingendo di farlo solo per necessità di Patria, al momento della nomina “dopo lunga riflessione ritenevano di non doversi sottrarre all’incarico”. C’è Occhetto che, dopo aver sciolto il Pci che non era solo un partito ma uno stile di vita, una visione antropologica e in ultima analisi una fede…bene, insomma c’è Occhetto che fu accusato nientemeno che di empietà. Ci sono i socialisti rampanti e “mangianti”, che entrarono sì al Governo con Nenni già nel 1962 ma “senza Craxi non andavano da nessuna parte”. Ci sono i leghisti duri e puri, capaci di inventarsi dal nulla, al pari di un Euro Disneyland o di una Narnia, una loro terra inesistente, la Padania. Ci sono le meteore della Prima e della Seconda Repubblica, un Segni per esempio, che a inizio anni Novanta aveva l’Italia sotto i piedi. Ci sono i missini, “prima fascisti e poi non so”. E c’è ovviamente lui, il Cavaliere, “ei che tutto provò”, per parafrasare il Manzoni. Ci sono Prodi, l’Ulivo, il Pd, le loro ceneri e i loro enigmi, tuttora irrisolti. E ci sono infine “questi qua”, anzi #questiqua, con l’hashtag, come si usa (e come usano “questi qua”, figli di un hashtag), ad indicare i politici dell’ultima generazione, da Renzi a Conte “avvocato del popolo” (perché in Italia l’enfasi non è mai troppa, come ricorda lo stesso autore), passando per Salvini e Di Maio. C’è tutto questo, e molto di più, nelle quasi mille pagine di “Invano: il potere in Italia da De Gasperi a questi qua” di Filippo Ceccarelli, uscito da Feltrinelli lo scorso novembre e scritto da una delle penne più sagaci del giornalismo italiano. Per lungo tempo a “Repubblica” (dopo avere lavorato a “Panorama” e a “La Stampa”), Ceccarelli nel corso degli anni ha raccontato con precisa ironia e abbondanza di particolari il (mal) costume della politica italiana, facendolo con uno sguardo mai feroce, mai sopra le righe, che mai giudica ma sempre puntuale e informatissimo. Un libro che poteva essere scritto solo da un giornalista, con i metodi tipici del mestiere: inchiesta, verifica, approfondimento, per un lavoro che è durato quasi cinque anni. Testimone diretto dei mutamenti della società attraverso la politica (o viceversa) e autore già di diversi saggi, da quando è andato in pensione si è concentrato totalmente alla stesura del “mostro”, come lo chiama lui, un tomo che è un compendio del suo sterminato archivio. Donato tre anni fa alla Camera dei Deputati, l’immane raccolta si compone di 334 raccoglitori e 1500 cartelline e per trasportarlo ci volle un tir. E però…e però…quante e quali cose si trovano nel libro figlio di quell’archivio, a ricordarci quello che siamo (anche) stati e quello che abbiamo vissuto, dalla stagione infinita dei dicci all’edonismo socialista, passando e intersecandosi con l’austerità comunista, i mille misteri d’Italia, lo spirito laico e liberale in Italia sempre minoritario (anche nel libro poco se ne parla, purtroppo, lo ammette lo stesso autore, ed è un peccato ) Un volume che andrebbe letto solo per coltivare il gusto della memoria, in un paese che non ricorda nemmeno le promesse di ieri dell’ultimo ministro. “Il libro era terminato poi ci sono state le elezioni del 4 marzo, con l’affermazione di questi qua, termine che comprende anche Renzi e la sua stagione: il titolo era ‘da De Gasperi a Dudù’, mi piaceva l’idea di finire così”. Ma, seppur brevemente, si poteva non raccontare #questiqua?
Serie bianca
Politica, saggistica
Feltrinelli
2018
958