Tempo di uccidere, di Ennio Flaiano
Tempo di uccidere – Ennio Flaiano
di Martino Ciano
Era il 1947 quando uno spavaldo giornalista di cinema e teatro, poco dotto secondo i radical-chic dell’epoca, un po’ goffo, ma dalla battuta sempre pronta, pubblicò il suo Tempo di uccidere. Possiamo dire che fu un romanzo su commissione, perché a chiederlo con insistenza fu Leo Longanesi. In un primo momento, il buon Ennio pensò che fosse una burla; infatti, a quel controverso editore per il quale Mussolini aveva sempre ragione, piaceva scherzare, e possiamo immaginare che in quegli anni, quando ancora lungo le strade venivano accatastate le macerie della Seconda Guerra Mondiale, c’era poco da stare allegri. Fatto sta che il romanzo uscì e, addirittura, nel 1948 vinse la prima edizione del Premio Strega.
Tempo di uccidere è ancora oggi un romanzo affascinante ma, soprattutto, è un’opera che ha resistito a tutte le mode. A renderlo tale, il fatto che sfidò coraggiosamente il morbo neorealista dell’epoca. Flaiano guardò altrove, il primo che mi balza in mente, Camus.
Questo romanzo è un’allegoria del celeberrimo Lo straniero, ma come detto, l’ironia spadroneggia ed è il punto forte dell’opera. Il buon Ennio sapeva bene che avrebbe potuto raccontare la guerra in Etiopia, l’occupazione e l’omicidio di una indigena, forse solo immaginato, forse realmente commesso, forse tentato, da un bizzarro tenente dell’esercito italiano, solo con gli occhi dello stupido.
D’altronde un fesso è sempre vittima dei suoi errori, delle sue paure e dei suoi sensi di colpa.
Lo stupido, insomma, è proprio il tenente, che racconta la sua avventura nel Continente Nero. Nel bel mezzo di un’Africa surreale, un dente inizia a fargli male e lui si mette in cammino in cerca di un medico. Strada facendo incapperà in diverse peripezie, tra cui avvenenti indigene, soldati italiani balordi che preferiscono il sesso allo stoico dovere nei confronti della Patria, graduati ingenui che meritano di essere imbrogliati. Pertanto, è normale che un cretino si inganni da solo, proprio perché ha una visione mediocre della realtà e, peggio ancora, le sue emozioni sono grossolane.
L’Africa di Flaiano non ha nulla a che fare con quella reale, ma diventa una terra surreale, un luogo qualsiasi che potrebbe star bene in ogni posto del Mondo. Un ambiente che potrebbe trovarsi a Roma, sulle Alpi o in Scandinavia. Il tenente è quindi uno spaesato. Non ha identità ed è un uomo chiamato a uccidere, ma non sa quando deve farlo. Per questo motivo, il titolo Tempo di uccidere potrebbe essere sostituito anche con Tempo di agire. Sì, ma in quale momento?
Il nostro tenente non è un uomo d’azione, non sa uccidere, infatti, durante le battaglie non ha mai sparato un colpo di pistola, eppure, ha ucciso (forse) involontariamente un’indigena. Insomma, più che un conquistatore, questo servitore del Fascio e del Re d’Italia è un conquistato, che diventa preda dei suoi sensi di colpa. Sensi di colpa che lo faranno ammalare nell’anima, visto che, tutto si svolge nella sua immaginazione. Infatti, nel suo mondo, poche cose sono davvero reali. Un romanzo attuale, sempreverde, che in questi tempi di crisi emotive, in cui venti di spaesamento serpeggiano ovunque, dovrebbe essere letto dai baldi amanti della piccola realtà quotidiana, giudicata sempre con anonimi strumenti di misurazione. Anch’io mi sono rivisto in questo stupido tenente, incapace di comprendere i meccanismi di una realtà che rende, il più delle volte, incapaci di agire.
Letteratura italiana
Rizzoli BUR
2013
312