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di Alessandra Durighiello
Il teatro ha perso l’importanza che ha avuto in occidente fino al secolo scorso e di questi anni, probabilmente, rimarrà ben poco di memorabile. A mancare sono autori non compiacenti, né autocelebrativi, in grado di parlare a tutti, che non significa piacere a tutti; mancano autori capaci di raccontarsi per ciò che sono realmente e non per come si immaginano o fa loro piacere pensare di essere. A tratti sembra che sia andata scemando l’esigenza di provocare un colloquio con il pubblico attraverso un linguaggio teatrale sintetico e informativo. Se da un lato si manifesta in alcuni ambienti la necessità di superare il “teatro di parola”, considerato roba da platea con un’alta media anagrafica, abituata a una certa prosa televisiva, in poche parole non molto istruita, dall’altro lato, la convinzione che il teatro sia solo quello sperimentale o di ricerca, porta ad esprimere un solo punto di vista, a proporre un teatro per pochi con testi drammaturgici a volte piuttosto deboli. È indispensabile uno sforzo costante per cercare nel presente le ragioni del vivere e del creare ma, inevitabilmente, quando il presente non è soddisfacente si tende a rivolgere lo sguardo all’indietro.
Nonostante siano ormai trascorsi quasi trentacinque anni dalla sua morte, Eduardo De Filippo resta una figura di riferimento nel panorama teatrale nazionale e internazionale. Era il 1972 quando Orson Welles presentava Eduardo De Filippo come the greatest living actor al pubblico londinese che, dall’8 al 13 maggio, all’Aldwych Theatre, avrebbe potuto assistere a Napoli Milionaria. In questi anni sono stati numerosissimi gli allestimenti delle sue commedie realizzati periodicamente non solo da Elledieffe, la Compagnia di Teatro di Luca De Filippo, oggi diretta da Carolina Rosi. Fatta eccezione per pochi lavori composti da giovane per esercitarsi o composti più tardi per necessità di mestiere, il suo teatro si fonda sul problema della difficile comunicazione tra individuo e società, lo stesso problema che affliggeva i suoi contemporanei, Eugène Ionesco e Samuel Beckett. Tutto ha inizio da uno stimolo emotivo: la reazione ad un’ingiustizia, lo sdegno per l’ipocrisia propria e degli altri, la ribellione contro leggi anacronistiche, lo sgomento di fronte alle guerre che sconvolgono la vita dei popoli. Eduardo De Filippo ha raggiunto una originalità così complessa da riuscire a proiettarsi nell’oggi, inaugurando una contaminazione teatrale multilinguistica; ha concepito il teatro nel suo legame indissolubile con la nostra vita. Nella sua visione il teatro è misura e giustificazione di una società, tanto da non sapere se nasca prima l’uno o l’altra; è un’arte realistica in cui il pubblico, nonostante il trascorrere degli anni, può ancora vedersi compiutamente dentro, almeno finché l’aspetto formale non prevale, lasciando il teatro in una dimensione autenticamente popolare. Il teatro di Eduardo va rappresentato senza costruzioni artificiose, con uno studio profondo dei caratteri e del tessuto drammatico sempre sorprendente, melanconico, mai falso, valorizzando l’attore talentuoso, quello che invece di calarsi nel personaggio sprofonda in se stesso e si propone personalmente.
Non è raro che una commedia eduardiana o una sua rielaborazione siano inserite nei cartelloni di qualsiasi stagione teatrale, anche 2018/19: al Teatro Nuovo di Napoli ho assistito a Eduardo per i Nuovi, un progetto promosso dalla Fondazione Teatro della Toscana e realizzato con la Elledieffe dall’attore e regista Gianfelice Imparato insieme ai giovani attori de i Nuovi. Il repertorio comico eduardiano viene affrontato attraverso gli atti unici Pericolosamente, I morti non fanno paura, Amicizia nonché la prima parte di Uomo e Galantuomo, recitati in italiano per far capire che Eduardo De Filippo non è un autore relegabile ad un ambito regionale e che la grammatica della drammaturgia comica è universale, non è legata ad un dialetto. La Compagnia dell’Eclissi ha presentato al Teatro Genovesi di Salerno Quei due! L’ultimo Bottone e Tre mesi dopo, due testi eduardiani dimenticati degli anni ’30, uniti dall’adattamento e dalla rielaborazione scenica di Felice Avella con la collaborazione di Marcello Andria, che ha curato anche la regia, e Marco De Simone. Quei due rimanda invece al titolo del film realizzato da Gennaro Righelli nel 1935 con Eduardo e Peppino De Filippo e ispirato liberamente alle vicende dei due sfortunati truffatori, Giacomo e il nipote Carlino che, per la loro poca abilità, provocano continui equivoci e disastri consegnandosi nelle mani delle guardie. Il personaggio a cui Eduardo era più legato è Sik Sik, l’artefice magico, sottotitolo che rimanda alla definizione che Gabriele D’Annunzio volle dare all’arte insuperabile dell’illusionista Gabrielli. Si tratta di un atto unico diviso in due tempi, scritto sul treno Roma-Napoli, che doveva far parte di una rivista che stavano allestendo al Teatro Nuovo. Ebbe un enorme successo, con più di quattrocentocinquanta repliche circa soltanto a Napoli. È la prima commedia di Eduardo ad aver avuto un’edizione a stampa nei primi anni Trenta, è comparsa nella puntata inaugurale del primo ciclo televisivo nel 1962 e ha fatto parte dello spettacolo di congedo del 1980; insomma è una pietra miliare del teatro eduardiano. La vicenda umana di Sik Sik, uno sgrammaticato illusionista che gira le piazze di paese, esibendosi con la moglie affaticata dalla gravidanza e che è costretto a sostituire il suo assistente ritardatario con uno sprovveduto passante, volge in parodia il luogo comune del performer che sbalordisce il pubblico e porta con sé un retrogusto amaro perché, nel fallimento del suo spettacolo, si intuisce il dissesto di una vita nomade, immiserita dalle difficoltà e scandita da espedienti. Tra le migliori interpretazioni di Sik Sik segnalo quella di Alfonso Grassi (peraltro attore di Hypokritès Teatro Studio) che in questi anni si è più volte esibito nei panni dell’illusionista al cui ingresso se ne care ‘o teatro, risolvendo in maniera vitale e frizzante il personaggio del capocomico, dandogli una lettura personale che non ricade nell’imitazione eduardiana.
Fino al 24 marzo è inoltre possibile visitare a Castel dell’Ovo la mostra I DE FILIPPO, IL MESTIERE IN SCENA, curata da Carolina Rosi, Tommaso De Filippo e Alessandro Nicosia e promossa dal Comune di Napoli. Una mostra dinamica, ricca di suggestioni come nella sala delle poesie dove attori come Isa Danieli, Tony Servillo, Lina Sastri, Vincenzo Salemme, Enzo Moscato, ti avvolgono a figura intera come se stessero recitando davanti al visitatore mentre le parole di Eduardo scorrono tutt’intorno. Le poesie di Eduardo si apprezzano più per la teatralità che per una particolarità tematica o estetica, si iscrivono nella linea realistico-narrativa, subiscono gli influssi della lirica-sentimentale e rientrano pienamente nella tradizione popolare: Si t’o sapesse dicere, È notte, Penzieri mieje, ‘O rraù, Io vulesse truva’ pace, ‘A capa, ‘A paura mia, ‘A gente, ‘O cunto, ‘O parla’ nfaccia, Fantasia, sono solo alcuni fogli di un diario in cui è fissata un’immagine, una riflessione, in cui la vocazione umana amara e confidenziale si risolve in una continua testimonianza del mondo quotidiano. Suggestiva anche la sala del teatro con i costumi e gli oggetti di scena a partire dal presepe di Natale in casa Cupiello, la ricostruzione del balcone dove si svolge la scena del caffè in Questi Fantasmi, i fondali di Guttuso e Maccari, fotografie, copioni, programmi di sala.
In copertina: Eduardo e Totò al San Ferdinando 1954, foto Agenzia Ruggeri presente alla mostra I DE FILIPPO, IL MESTIERE IN SCENA a Castel dell’Ovo, Napoli.