Di Geraldine Meyer
Esce per la viterbese Sette Città Edizioni questo Svalbard, Storia di nomi. Un sottotitolo che già suggerisce sì un libro dedicato a un luogo ma anche, e soprattutto, una chiave di lettura non usuale per un testo di viaggio. Che libro è dunque questo Svalbard? L’autrice, oltre a raccontarcene la genesi, il ricordo/diario di un viaggio nell’arcipelago nordico, ce ne fornisce l’angolazione a partire dall’esergo scelto, parole di Pavel Florenskij non poco rivelatrici: “Dominare significa controllare e noi controlliamo ciò che conosciamo e a cui abbiamo dato un nome, ciò che abbiamo compreso e fatto nostro.”
La questione della nominazione non è certo estranea alla filosofia o alla psicoanalisi, come ci ha ricordato Lacan per esempio, ma vederla applicata a un testo odeporico è, sicuramente, qualcosa che incuriosisce. È la stessa autrice ad entrare subito in medias res quando scrive: “Dunque questo è un libro sull’arcipelago delle Isole Svalbard ed è, in particolare, la storia dei nomi di luogo che gli furono dati dopo la scoperta avvenuta nel 1956. Da quella data Svalbard entra nella storia e di qui nasce l’atto di dare nomi. Ancorché scientifico e geografico, questo è un atto sacro in sé, dato che nella Bibbia, durante e dopo la creazione Dio dà nomi alle cose.”
Certo ciò non significa che esploratori e studiosi fossero consapevoli dell’atto del nominare in questa accezione e neanche che lo volessero scientemente fare. Innegabile però che dare un nome a una cosa, ma anche a un luogo, è qualcosa di importante come presa di coscienza di ciò che, con il nome appunto, prende quasi diritto ad esistere, a fare la sua comparsa nel mondo. Cosa erano dunque le Svalbard prima di ciò. Suggestiva domanda che, pur non espressa, resta una interessante suggestione speculativa per chi legge il libro.
Un diario, certo, anche ricco di notizie e dati sulla geologia, la flora, la fauna e il clima dell’arcipelago. Dati che però non restano mera statistica o descrizione ma entrano, in modo funzionale, a svelare piano piano perché le Svalbard sono ciò che sono e perché, nonostante la loro posizione, siano ad un certo punto diventate di interesse per scienziati, esploratori e industriali.
Un libro non privo di lirismo quando l’autrice racconta del vento, della luce, del silenzio e del suono che, paradossalmente, esso crea entrando in relazione con il paesaggio. Interessante anche questa definizione legata ad un luogo che, solo apparentemente, sembra avere i colori del ghiaccio, delle rocce e poco più. A dimostrazione di come anche geograficamente un luogo divenga paesaggio attraverso gli occhi e la sensibilità di chi lo guarda. Insomma approccio quasi scientifico statistico che però mai si disgiunge dal racconto.
Svalbard è allora un libro che entra nella storia dell’arcipelago svelandocene il percorso temporale ma con, sempre sottesa, la questione della nominazione. Che non perde di suggestione, diciamo così biblica, anche quando si tratta di un atto politico, di una mera presa di “possesso” di un luogo per addomesticarlo a esigenze economico-sociali. Davvero da leggere avendo presente l’eco della diaristica di viaggio del ‘700 e dell’800 quando, appunto, il racconto dei luoghi non si fermava mai solo ai luoghi. Al lettore scoprire i propri personali percorsi
Diario di viaggio
Sette Città
In uscita il 5 febbraio 2020
118 p., Ill, brossura