Decameron di Pasolini: la testimonianza di Pino De Stasio.
Di Carmine Maffei
“I napoletani sono l’ultimo momento autenticamente popolare che posso trovare in questo periodo in Italia. Perché ho scelto Napoli? Per una serie di selezioni e di esclusioni. Nel momento in cui ho pensato di fare un film profondamente popolare, nel senso proprio tipico, classico di questa parola, ho dovuto escludere pian piano tutti gli altri possibili ambienti. Mi è rimasto Napoli, fatalmente, perché Napoli, proprio fatalmente, storicamente, oggi, è la città d’Italia, luogo d’Italia, dove il popolo è rimasto più autenticamente sé stesso, simile a quello che era nell’Ottocento, nel Settecento, nel Medioevo”.
Pier Paolo Pasolini
Per celebrare i cinquant’anni dalle riprese del Decameron (1970) di Pier Paolo Pasolini, film epico e meraviglioso, effettuate nel cuore del centro storico di Napoli, tra il monastero di Santa Chiara, via Benedetto Croce e Palazzo Penne, ho ascoltato la testimonianza di Pino De Stasio, oggi consigliere della II municipalità e proprietario del Bar Settebello, sito proprio in via Benedetto Croce, all’angolo di via San Sebastiano, la strada dei musicisti e dei liutai.
Pino De Stasio ha scritto un racconto, “Io, Pino Pelosi”, incluso nella sua raccolta” Notturni – tre racconti dark” (Palawàn Editore-Turisa Editrice), dedicato proprio a Pier Paolo Pasolini, e agli ultimi tragici momenti sul lungomare di Ostia, che precedettero l’assassinio atroce a cui andò incontro.
Ha combattuto strenuamente con gli enti e le amministrazioni per la riqualifica di Palazzo Penne, che fu uno dei punti cardini per quelle riprese girate da Pier Paolo Pasolini cinquant’anni fa. Oggi il palazzo, anche grazie a lui, ha finalmente riacquistato il fascino di un tempo.
Pino De Stasio, nel 1970, era poco più di un ragazzino, e poté assistere alla realizzazione delle superbe scenografie che furono montate nello spazio antistante alla chiesa di Santa Chiara, che all’epoca si presentava in maniera diversa, come un grande spiazzo, dove fu collocato il mercatino che ben si vede nel film.
Pino, raccontami di quei giorni a Santa Chiara.
“Era il 1970: ricordo tutto l’ampio spazio che si trovava a ridosso della basilica di Santa Chiara, che fu allestito, perché all’epoca era ancora una sorta di piazza vuota. Solo successivamente, il tutto fu riqualificato con giardini, gli stessi che si possono vedere oggi. E l’unghia trecentesca che si nota davanti al portale fu addirittura spostata più avanti, e ciò comportò un grosso lavoro d’ingegneria, e ricordo ancora dei binari, delle grosse ruote…”
Cosa ricordi, invece, del lavoro che fu svolto per costruire gli scenari?
“In quei giorni fu ricostruito tutto quello spazio antistante e circostante alla basilica. Ricordo di quelle scenografie altissime, quei carri e quei buoi, e poi galline, cavalli, anatre; i grandi camion che trasportavano tutte le scenografie…Tutta la zona era sommersa di questi colori, di questa struttura da mercatino trecentesco che doveva rappresentare una parte della novella di Andreuccio da Perugia, interpretato da Ninetto Davoli”
Conservi un ricordo vivo, quindi. Quali altri particolari rammenti?
“Era tutto uno spettacolo, una sorta di grande giostra per noi adolescenti, una specie di Cinecittà che piano piano avanzava nei luoghi più antichi del ventre di Napoli. Dappertutto s’innalzavano queste costruzioni di cartone, di legno, di ferro, di finti cespugli, di piccole case e di ripari, dove si vendeva di tutto, dal pane al pesce, agli ortaggi, alla frutta…”
C’era già il tuo bar all’epoca…
“Ovviamente il bar dei miei genitori, che nel 1970 era aperto da una anno, stando a pochi metri da Santa Chiara, era sempre stracolmo ed io ragazzino, insieme al mio padre e a mia madre servivamo caffè, cornetti, bibite. C’erano il jukebox e il biliardino, che all’epoca davano all’ambiente quell’aria molto vissuta, oggi purtroppo andata persa. Oggi sono stati rimpiazzati dai tavolini per i turisti.”
In quale occasione incontrasti Pier Paolo Paolini e quale immagine conservi di lui?
“Un giorno venne al bar proprio Pasolini. Veniva attorniato da questo stuolo di persone, e tutti ad ascoltarlo, come fosse un grande guru. Vestiva pantaloni bianchi a zampa d’elefante, indossava dei colori chiarissimi, e ho il ricordo di quest’uomo che parlava al centro del bar con tantissime altre persone. Non capivo ovviamente tutto quello che dicevano ma ne ricordo l’immagine forte e la potenza intellettiva che emanava.”
Infine, Palazzo Penne…
“…via via seguivamo tutti i lavori, che continuarono fino a Palazzo Penne, dove furono girate le scene della novella di Lisabetta da Messina. La si vede proprio uscire da quel magnifico portale!”
Pino, ho in mente di collegare il nostro drammatico periodo della pandemia di Covid-19 con la Peste Nera che Boccaccio racconta nell’introduzione del Decameron, come per vivere, imitando l’opera dello scrittore fiorentino, una sorta di auto reclusione che miri però anche a delle belle proposte.
“Curioso! Parlando di pandemia, è singolare ciò che, in effetti, successe un paio di anni dopo le riprese del Decameron a Napoli! Vedi, ti faccio notare che Pasolini si ritrovò a lavorare qui proprio a ridosso del 1973, che fu l’anno del colera, e io, ricordo bene, fui anche vaccinato dagli americani!”