Al di là del giardino “Ho visto solo cielo”, il libro-tela di Ciro Cianni
Di Carolina Montuori
Il giovedì è il giorno in cui comincia il solenne Triduo pasquale: Passione, Morte e Resurrezione di Cristo.
Terminata la messa pomeridiana si velano le croci, in pace sono le campane, piovono gli ornamenti dagli altari: un cristiano ha da prepararsi sempre al sacrificio del Figlio dell’Uomo sulla Croce, alla convenienza in termini teologici dell’Incarnazione di Cristo.
“Sto camminando /da tanto tempo/ma ho visto solo cielo!” è una delle composizioni più caratterizzanti dell’orizzonte poetico di Ciro Cianni e s’intitola Giovedì. Non è un caso. I testi “Alba e ritorni…” e “Giovedì” confluiti nell’opera omnia edita da Jehoshu’a: “Ho visto solo cielo” (prefazione di Davide Rondoni) presentano un lessico spiccatamente neotestamentario (spighe, peccati, monte, verità, profezia, preghiera, trenta denari) attraverso cui traluce la fede dell’autore, che divampa con l’umiltà e la fragilità dell’uomo che crede “Credo/ in un solo Dio,/…ed ho ancora/una rosa/nel giardino”.
Ciro Cianni poeta: un giardino ed una rosa, ma non è certo il Piccolo Principe. È un uomo in carne ed ossa, così come Dio l’ha creato e ci ha mostrato con Giardino il segreto del suo fiore, i cui petali egli posa “ad asciugare” fra i capelli di una figura cara.
Per la fede cristiana la parola, dall’ebraico biblico דָּבָר (dabar), è fondamentale poiché essa è la fede dell’ascolto della parola. Il gesuita e teologo tedesco cattolico Karl Rahner insegna che essa «non può mancare di avere un rapporto particolare anche con la parola poetica».
In tal senso una poetica dai caratteri specificatamente cristiani rappresenta una rarità nella letteratura odierna e l’auspicio di una poetica teologica può presentare spunti di notevole interesse e un confronto costruttivo con altre poetiche.
I componimenti della raccolta appaiono liberi, i versi si rincorrono, talvolta si completano a vicenda, quasi come se l’autore fosse partecipe di una gioia nuova, che traspare da una ricchezza interiore rinnovata e tecnicamente dall’utilizzo del punto esclamativo, rarità in ambito strettamente poetico.
Sarà la gioia del cristiano redento? La testimonianza versificata dell’uomo-poeta che esprime la gioia della speranza nella Resurrezione attraverso le sue parole?
Ci viene in aiuto il Vangelo di Matteo quando Gesù, alla domanda «Chi dunque è il più grande nel regno dei cieli?», rispose: «In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli (Mt 18, 1-5).
E come un bambino alla luce di un nuovo affresco che era “solo cielo”, il poeta presenta il distico “Mi passeresti il rosso?”. Si raggiunge l’essenziale, poiché “rosso”è uno dei tre colori primari, dalla cui sintesi si ottengono i colori restanti. Rosso è il colore del fuoco, del calore, della rabbia, degli occhi dopo aver pianto, del sangue dunque del dolore, ma anche e soprattutto dell’amore, della passione e del martirio.
Deve essere certamente rossa la rosa dipinta nel suo giardino.
Memoria d'incenso
Poesia
Jehoshu'a
2015
100 p.,