Lettera aperta e anche chiusa a studente e a studentessa…
Di Vladimir D’Amora
Comunque a me piacerebbe una cosa… ma mi piacerebbe soltanto…
perché certo mi piaci tu e mi piace che tu esista e pure i tuoi modi… cioè: mi piace la tua ciclotimia: la tua bipolarità: la tua melanconia: la tua oscillazione tra gioia e lutto: tra angoscia anche e euforia persino…
e certo che siamo noi tutti e noi tutte: siamo questo equilibrio precario tra equilibrio appunto e dispersione… ma qui c’è da chiarirsi…
diciamo che questa bipolarità, e sia chiaro: io sono un bipolare da sempre…!, questa compresenza di eccessi e di cedimenti: è un double bind… una figura, questo modo di pensare, questo schema di analisi sia di psicologi che di sociologi che di filosofi… e significativo è che di doppio vincolo: di double bind, abbiano preso a parlarne soprattutto etologi, cioè quanti studiano i comportamenti animali…
questo, che cosa può voler dire?
Che riconoscere un doppio vincolo, cioè il fatto che viviamo e ci sopravviviamo sempre innescando a noi vantaggi che rischiano di renderci, proprio così, svantaggiati – questo è quello in cui l’uomo e la donna si trovano situati come in una specie di tana: di sito, luogo, condizione naturale…
il double bind: e lo possiamo anche chiamare armonia contrastante: tragica, ossia investente la vita tutta e il suo senso, è per l’uomo e per la donna: per il maschio e la femmina di uomo e di donna: che sono animali che crescono: che divengono sempre se stessi, che, cioè, non sono, e non siano, mai dati e definiti una volta per tutte… – bene, questo doppio vincolo: il double bind è come una specie di istinto a noi umani: se il ghiro non sa che dormire e il bradipo non sa non essere tardo lento e la volpe una stronza e l’orso un bruto: l’uomo e la donna non sanno che infilarsi imbucarsi crescersi in aporie: in mancanze di vie di uscite: in doppi vincoli: in situazioni e in condizioni per le quali e nelle quali ciò che ci fotte, è proprio ciò che fa beati!!
Ora, che cosa è questo doppio vincolo: questa aporeticità: questa tragica tragicissima penosissima e anche comicissima scissione: ferita: questa sbucciatura d’essere che noi stesse e noi stessi siamo?
è di essere rimandati all’altro: di essere progetti schiusi: aperti a chiusure di volta in volta salienti e necessarie: di essere nate nati senza che nessuno mai potesse chiederlo se volessimo o meno insorgere al mondo: di essere stati un tempo e oggi e domani gettati all’altro che la vita nostra è…
ora, come gestire l’aporia, il doppio vincolo?
Leonardo da Vinci, dice Freud Sigmund, fondò sul TRAUMA, sulla vita offesa sua e subita, la SUBLIMAZIONE: diciamo: l’elevazione: che ne fa uno che non rimuove il doppio vincolo: l’aporia: l’angoscia indisgiungibile dalla gioia – ma Leonardo, e certo lui è un genio…, proprio sul trauma fonda la sua arte appunto: sublime: elevata e capace di elevare… a cosa? a dio? agli angeli? al cielo? ai valori alti e arroganti e dominanti e fissanti una vita scorrente?
no!
Piuttosto eleva la vita stessa al rischio: a sapersi nuova: a potersi, cioè, come un divenire-vita: a potersi destinati all’altro: al vuoto del contatto e non al contatto dell’altro: alla possibilità che l’altro davvero venga e irrompa e che persino si finga appunto altro: un rischio: un inganno d’altra – natura!
Ecco, Leonardo era un genio… come lo era e lo fu Raffaello, il quale quando a roma ebbe a fare due affreschi su due pareti dotate di finestre… che fece?
Inglobò questo impedimento: questo schermo: questo ostacolo: questo imbarazzo nella finzione stessa che dipinse… la scena rappresentata non era altro dalla finestra, ma conteneva: comprendeva: toccava, essa stessa, la finta finestra che era una finestra vera!
Raffaello, e in questo solo sta la sua, e la nostra, genialità – FECE DI UN TRAUMA, TRADUSSE UN DOPPIO VINCOLO – IN UNA SORGENTE DI NUOVA VITA: DI NUOVA LUCE: DI APERTURA…
Ora: geniale è chi sappia riconoscere che ciò che non ci appartiene ci abita come una impersonale presenza tutta risucchiata dall’altro e nell’altro: se l’altro che un altro ci è e l’altra che noi gli siamo, che a noi stessi siamo – se l’altro e l’altra depone depongono la sua e loro arroganza e la loro e sua pressione di rappresentazioni di una vita, di una vita bloccata in valori e in posizioni di richiesta e di imposizione, ecco che noi lo scopriamo, l’altro, e ci scopriamo, come con lui e con noi stessi confusi: coalescenti: ci cresciamo insieme: ci conscresciamo in un noi che non dispone secondariamente al e del rapporto, e neppure dei termini come separati prima e poi relazionati: ma il con, il rapporto è la differenza che si allarga: che si slarga in uno spiazzo di Siena, o di Calcutta!
Noi, cioè, siamo il vuoto di questo contatto: siamo il nuovo – che sempre ci è possibile… diventiamo cioè la retroazione che l’altro, che la sua oggettualità, ossia il riconoscimento della sua esistenza sempre salvata alla integrità delle distruzioni in cui una vita si chiude ed è chiusa: dispone e depone: ed esponendoci come estasi che sognano ragionevolissime partizioni di una vita, ecco che diventiamo con lui ciò che siamo: e ci diventa ciò che è… come se un padre e una madre e un docente e un marito e una moglie e un figlio e un proprietario di casa e di auto e di cane e di moto e di albero e di computer e un nullatenente e un luogotenente del poco – dovessero sempre imparare a cominciare la loro irrelazione col niente di sé: con il rapporto che l’altro è…!!
quindi: ben vengano oscillazioni e disequilibri e incoerenza e incertezze e debolezze e travestimenti e denudamenti… tanto c’è sempre un genio, in noi, un demone accanto a noi e spesso contro di noi: una specie di ragno notturno e la diurna formica, che ci strappa alla nostra presunzione di essere già (i) morti.
L’immagine di copertina è Donna colpita da schizofrenia si guarda dentro, di Cumi Bruni Cristian (foto presa dal blog dell’autore)